| La luce entrava dai finestroni, illuminando la stanza grigiastra e vuota. Il rosso fece qualche passo, un filo di fumo che partiva dalla sigaretta all’angolo della bocca. Non aveva motivo di essere lì, dopo essere sfuggito ad una morte già scritta; poi, era intervenuto lui, era stato il suo scudo, la sua protezione. Stava per cadere a terra, schiacciato dal peso del suo stesso sangue. Potevano anche avergli mentito, e da quella donna se lo sarebbe aspettato, invece era libero, e vivo, ma mai si era sentito così oppresso e moribondo. Matt cadde in ginocchio in mezzo alla stanza, aggrappato al letto. Sotto i guanti la sua pelle era tesa dolorosamente. Alla porta, un fruscio. Il rosso sorrise all’inevitabile e si rialzò. Era pronto a tutto ciò che avrebbe visto. Allungò una mano verso la figura che si stagliava sulla porta: l’allucinazione più nitida che avesse mai avuto; con la punta delle dita sfiorò la guancia un tempo deturpata da quell’orrenda cicatrice ed ora meravigliosamente liscia. La sua mano scese fin sulla sua spalla. Matt assaporò il contatto con la pelle liscia sotto il cappotto nero: era tornato, intero e pronto a perdonare come non era mai stato. Cercò con lo sguardo gli occhi azzurri che non si sarebbe mai stancato di guardare, talmente innocenti da essere quasi crudeli, affilati e luminosi. Poi Matt posò entrambe le mani sulle spalle dell’amico e si sostenne, piangendo e maledicendo quella donna che l’aveva portato fin lì. Un paio di braccia si strinsero su di lui, chiudendolo in un abbraccio. Non cercò di scusarsi, come aveva fatto altre volte, sapeva che lui non gli avrebbe mai risposto. Si sorprese quando pensò di nuovo all’attaccamento che provava per quel ragazzo, una sorta di amore fraterno che non aveva mai provato. Matt era dolorosamente convinto che non amava Mello, ma che era semplicemente suo. Quel pensiero lo aiutava a trascinarsi giorno dopo giorno in una gabbia d’oro, circondato da fanatici pronti ad idolatrare un mostro. Una brezza leggera, proveniente da un vetro rotto, lo fece dissolvere. Il rosso rimase immobile, le mani tese ad afferrare qualcosa che non c’era,e non ci sarebbe stato più. Ormai era consapevole che la confortante illusione di essere totalmente pazzo l’aveva abbandonato, quando ne aveva avuto più bisogno. Matt gettò a terra il mozzicone di sigaretta e lo pestò con la suola pesante dei suoi scarponi. Era riuscito a credere che Mello non potesse più vederlo, l’aveva davvero creduto morto, bello come un angelo, depurato da tutte le ferite che l’avevano corroso, pronto ad essere il suo angelo custode. In verità sapeva che l’unico motivo che l’aveva portato ad essere lì, sull’orlo della pazzia, era una sua colpa, un inutile atto di bontà. Il rosso crollò su uno dei letti impolverati, gemendo come se l’avessero ferito a morte. Guardava in fondo alla camera, sul letto dove prendeva forma una figura esile, gracile. Sorrise di quel cervello che, forse bruciato dal troppo fumo e dai troppi videogames, ora gli faceva quei brutti scherzi: tra tutti i fantasmi che poteva evocare aveva scelto, nella sua infinita forza, l’unico che davvero era tale. Lo sentiva come una mano quando parlavano lui e l’albino riflettevano senza personalità sulla morte senza volto, la cui mano si stendeva su tutto il Male e su tutto il Bene. Matt lasciò cadere una lacrima, che catturò la luce, lungo il suo viso, fino a macchiare il lenzuolo. Il suo peregrinare senza cibo né acqua, senza altra compagnia se non quella delle sue amate sigarette, l’aveva trascinato sul fondo, regalandogli almeno il buio prima del baratro. Le sue palpebre si abbassarono. Dal mondo di fuori sentì arrivare un profumo dolce. Cioccolata. Sorrise ad occhi chiusi, ringraziando il cielo per quell’ultima allucinazione. La sentì sgusciare tra le labbra, troppo buona per essere vera. - Oggi niente sigarette- mormorò una voce, ed era chiara, potente. Il rosso aprì gli occhi. Davanti a lui, nella luce pomeridiana si stagliò la figura tristemente inconfondibile, di Mello. - Mangia un po’ di cioccolata- disse Mello, scuotendo la testa. Matt lo guardò, stupito del fatto che Mello, e sottolineo Mello, stesse offrendo proprio a lui, l’amico con il quale aveva appena litigato, la sua preziosa cioccolata. Si accorse anche che il braccio sinistro del biondo pendeva rigido. Il ragazzo seguì il suo sguardo e sorrise schivo; con nonchalance nascose il braccio ferito e gli porse di nuovo la barretta mangiucchiata. Il rosso si risollevò e si mise seduto. Confuso prese un pezzetto di cioccolato e lo lasciò sciogliere in bocca, felice. La camera ondeggiava meno di quando era arrivato, ma era ancora debole. - Sei e rimarrai uno scemo- commentò secco Mello. - E tu? Come se fosse una mossa intelligente farti massacrare di spari- ribattè con un filo di voce il rosso. - Takada ti ucciderà. Forse dovresti tornare indietro- - Ucciderà anche te, se è per questo, e preferisco morire qui piuttosto che morire per strada o davanti a Takada.- Il biondo scosse la testa. In quel momento Matt recepì un altro dettaglio che gettò il suo cuore fin nello stomaco. - Ma… hai le stampelle?- balbettò terrorizzato. Mello finse un’alzata di spalle noncurante, ma il rosso vide come gli tremavano. - Oddio, è tutta colpa mia- gemette. - Ho bisogno d’aiuto, da solo in queste condizioni non riesco a fare un corno- - Dimmi- - Torna da Takada- Mello alzò una mano e fermò Matt che stava per parlare- e fingi di essertene andato a fare un giro. Tutto dopo verrà da sé- e morse con evidente soddisfazione la barretta.
- Rosso, ma dov’eri finito?- gridò Takada rossa in viso. Matt si concentrò su Halle, cercando di farle capire che aveva visto Mello, che sapeva che stava bene. - A fare un giro… Taki. Posso parlarti da solo?- - Ma certo.- Rimasero soli in sala e si sedettero, guardandosi negli occhi. - perché appoggi Kira?- le domandò d’un tratto Matt. Takada guardò fuori dalla finestra. - Il mondo fa schifo, e Kira si è offerto spontaneamente di ripulirlo. Dovrei dimostrarmi ingrata? È un dio- - E’ diabolico!- gridò Matt. Per lui era facile odiare una persona che Mello odiava. - Tu scherzi?- - No- Come aveva detto Mello, il piano si formò subito nella sua mente. Ed era ripugnante. - Takada- disse con voce languida. Lei si voltò allarmata. Il rosso la fece alzare e la baciò sulle labbra. La donna assaporò il sapore di nicotina che avevano quelle labbra e rispose con entusiasmo al bacio. Allontanò le mani di Matt e gli tolse lentamente il gilet; lui la lasciò fare. Era il turno di Matt. Con un gesto solo le tolse la giacchetta beige e la lasciò cadere a terra. Stranamente infastidita dalla lentezza del ragazzo, che di solito faceva sbavare tutte le ragazze, Takada fece cadere anche la gonna e la spinse via con un calcio. Mezza nuda si strusciò contro di lui, e cercò di strappargli la maglia a righe. - Mi piace questa maglia- gli sussurrò. Lasciò cadere anche la maglia rossa, e la gettò via. Dopo un secondo di indecisione, Matt si tolse gli scarponcini e la sospinse sul letto. Mentre stava per togliersi gli indumenti intimi, il rosso le bloccò le mani e le allontanò. Takada fu sorpresa dalla morbidezza delle sue mani bianche. Il rosso chiuse gli occhi, dimenticandosi di tutti e di tutto, e soprattutto di Takada che, abbandonata la copertura di donna seria e intelligente, era pronta a farsi prendere da lui. Sospirò e riaprì gli occhi, senza guardare nulla in particolare.
|