| Quella mattina il cielo era cupo; al rosso parve una prigione che si abbassava su di loro, per poi chiudersi sulla persona che non sarebbe scappata in tempo. Anche Takada pensava la stessa cosa, in una sorta di telepatia involontaria. Sempre più spesso le capitava di pensare quello che pensava il rosso, e non gli piaceva. Tutto era iniziato come una vendetta, un gioco erotico in cui torturare sia Mello che il suo amico, e un modo per controllare il mafioso. Non riusciva capire. Non voleva capire. Non le piaceva il fatto che Light Yagami in quel momento la spaventasse, mentre Matt…no. Prima si considerava una dea, o una semi-dea; adesso si sentiva un volgare assassino che tenta di emulare il suo idolo. La sera prima, involontariamente, aveva letto il VERO nome di Matt e la sua durata vitale, e, nonostante la sua morte fosse fissata per un periodo molto lontano, la sensazione che qualcuno sarebbe morto quel giorno non voleva abbandonarla. - Sei pronta?- le chiese Matt, ovvero: “Sei pronta a dire addio alla tua vita? Perché oggi succederà del male” - Sì- Tentò di raggranellare un po’ d’entusiasmo. Matt si accese l’ennesima sigaretta e salì sulla moto, senza mettersi il casco. Takada avvolse le braccia attorno alla sua vita e appoggiò la testa sulla sua schiena. E lo guardò di sbieco. Pensava a Mello. Lo sapeva. Quando pensava a Mello, aveva quella faccia, come se si trattasse di un animale pericoloso che poteva staccargli la testa a morsi, un animale che gli piaceva. - Dove stiamo andando?- urlò per coprire l’ululato del vento. - Nella casa sul fiume dove vivevo da piccolo- Una panzana bella e buona, lui aveva vissuto alla Whammy’s House con Near e Mello, ma non era necessario che lei lo sapesse. - Ed è bella?- - Bellissima- Takada lo strinse un po’ più forte, immaginando cosa avrebbe pensato la gente vedendola passare in moto con un tipo come Matt. Uno di quelli che chiamano nerd, uno sfigato. Ma Matt era pur sempre un gentiluomo, e scelse vie secondarie dove non potessero vederla e dove chi la vedeva non faceva commenti. - A me non importa tanto del mio aspetto, ma non è bello vedere come la gente ridacchia vedendomi. Mi chiamano sfigato, mi ignorano completamente.- - Io non ti chiamerei mai sfigato- le aveva detto lei strusciandosi come un gatto su di lui. Matt aveva alzato le spalle e aveva guardato da un'altra parte. - Arrivati- annunciò Matt e inclinò la moto per lasciarla scendere. Takada osservò fin nei dettagli la casa vecchia e poco curata, ma che manteneva sempre una certa eleganza. Le finestre ad arco erano scrostate e la grondaia pendeva, ma l’intonaco rosa era ancora bello e vivido. La prese per mano, e Takada si accorse che indossava i guanti. - Prima le signore- disse in tono scherzoso, senza però nascondere una punta di incertezza. La donna sorrise e aprì con cautela la porta di legno scuro. L’interno della casa era avvolto dalla penombra, e piccoli spicchi di luce illuminavano un pezzo di tavolo, delle sedie, un divano. Appollaiato sul divano, gli occhi penetranti fissi sulla donna rimasta impietrita sull’entrata, le labbra piegate in un sorriso sarcastico, c’era Mello. Takada sapeva, sapeva che sarebbe andata così. Il rosso l’aveva davvero tradita per un mafioso, un biondo che sembrava una donna. In quel momento tutte le cose orbabili che poteva pensare di lui si riversarono come un fiume in piena nella sua mente, senza che alcuna arrivasse alle sue labbra. Si ricordò della pistola; la teneva in tasca da quando aveva fatto entrare Matt nella sua vita. L’aveva rubata a una guardia per sicurezza, dimenticandola. La estrasse di colpo, puntandola addosso a Mello: non aveva mai sparato a nessuno, ma aveva già ucciso, non le sembrava niente di troppo particolare. Irrigidì l’indice sul grilletto e… - No!- la mano di Matt colpì la pistola, gettandola via. Poi il rosso tornò immobile. Il suo volto aveva perso ogni colore, persino le sue labbra erano nivee. Takada aveva un ultimo asso nella manica: apparentemente il più innocuo, ma anche il più terribile. Impugnò il mozzicone di matita, avvicinandolo al pezzetto di carta che si portava sempre appresso. La sua mano tracciò in fretta il vero nome di Mello e quasi tutto il cognome, senza essere fermata. L’ultima lettera, l’ultima soltanto. - Ferma- Matt le puntava la pistola al petto. La donna non trattenne un sorriso. - Non sei capace di spararmi- lo sbeffeggiò. Gli occhi del rosso erano lucidi. - Forse no-puntò la pistola alla propria tempia- ma so spararmi. Se scrivi quella lettera, io mi sparo- Premette ancora di più la canna dell’arma sulla pelle. Mello appariva quasi più sbalordito di Takada. Il piano non prevedeva quello. - Non fare pazzie Matt!- gridò Takada. - Mello non merita quello che fai!- - Se è per questo, Mello una volta mi ha quasi strangolato- commentò, sentendo ancora la pressione delle sue dita sulla gola. Anche il biondo ricordò come Matt gli era crollato addosso senza respiro, il collo bianco macchiato di viola. Matt era il suo migliore amico, ed era uno sprovveduto scemo. Gli sfuggirono un bel po’ di appellativi molto coloriti che spaziavano dallo ‘stupido’ allo ‘deficiente’, ad altri ancora più coloriti. La donna rimase a guardarlo ipnotizzata, la mano che tremava a qualche millimetro dal foglio. Infine lo lasciò cadere ridacchiando sconfitta e porse la matita a Mello. Poi cadde in ginocchio. Il biondo zoppicò verso di lei e la schiaffeggiò con tutta la furia che aveva. Takada si allontanò da lui, piangente. - Adesso fa’ come se noi fossimo morti e continua il piano di Kira- Takada alzò fieramente la testa e tirò su col naso, asciugandosi le lacrime, e annuì. Con dita tremanti riuscì a prendere il cellulare. Mello, senza perderla di vista, si avvicinò a Matt, che tremava, la pistola ancora pericolosamente vicina alla testa, e con delicatezza gliela tolse dalle mani, appoggiandola davanti a lui. Poi lo abbracciò come un bambino, circondandogli le spalle con le braccia, impacciato. Takada soffocò un singhiozzo e premette il tasto della chiamata. Il biondo ascoltò attentamente la conversazione nel caso in cui la donna avesse detto troppo. La telefonata finì. - Posso andare, ora?- disse in un singhiozzo. -…- - Ti prego- - Vattene, e non tornare- disse Mello sprezzante. Takada però apparve irresistibilmente attratta dalla tanica di benzina che c’era in fondo alla stanza e la prese in mano, rovesciandone il contenuto su tutto il pavimento. - Cazzo, ha usato il Death Note!- urlò Mello, spintonando Matt. Corsero attraverso la casa vuota, mentre le fiamme divampavano. Il biondo aprì la porta di servizio che dava direttamente sul fiume. - Salta Matt!- Lui non se lo fece ripetere e cade nell’acqua con un tonfo. Riaffiorò dopo qualche secondo, cercando di restare a galla. - Mello, muoviti!- Il biondo guardava indietro, verso le fiamme che uscivano dalle finestre e abbracciavano la casa; il rosso si maledisse per non aver aspettato. - Non entrare!- Mello si fiondò di nuovo all’interno, tra le fiamme, ma tornò subito indietro con le mani alzate, dando la schiena all’acqua. Matt vide Takada puntargli di nuovo la pistola addosso, le fiamme che si arrampicavano su di lei bruciandola senza scampo. L’avrebbe ucciso, di nuovo, e definitivamente. Uno sparo e Mello cadde all’indietro, le braccia aperte come un angelo, nell’acqua. La donna si accasciò sul pavimento e divenne tutt’uno con il fuoco. con un paio di bracciate il rosso si avvicinò alle bolle che indicavano dove Mello era precipitato. “ Oddio, è morto, è morto” pensava. Di colpo una testa bionda comparve sotto il pelo dell’acqua. La prima parola che Mello disse, dopo aver sputato l’acqua che aveva in bocca fu:- Cazzo, mi ha colpito proprio sul braccio ferito!- Matt dovette proprio ridere. Uno di fianco all’altro risalirono l’argine e si nascosero nella boscaglia accanto alla casa: il calore del fuoco aveva già asciugato loro i vestiti. Un’auto scura frenò bruscamente davanti a loro, e scesero tre persone, urlando. - Curioso, no?- disse Mello a voce alta. Tutti si voltarono verso di lui, che mosse qualche passo nella penombra fino ad essere visibile. Matt stava alle sue spalle come una sentinella, in silenzio. - Ho costretto io Takada a telefonarti, grazie all’ausilio di Matt, e non appena chiude la chiamata con te, ecco che si suicida. Buffo.- Ignorò le pistole puntate verso di lui, che lentamente si abbassarono. Light Yagami sembrava davvero stupefatto. Abbassò la testa e, quando la rialzò, rideva. - Non hai prove!- lo accusò. - Ho un testimone- Light incrociò lo sguardo di Matt, e fu sicuro che non avrebbe finto per appoggiare Mello. Così, Light confessò: come aveva ucciso i criminali, come aveva pianificato per uccidere L, ciò che pensava di suo padre, di Takada e di tutti quanti quelli presenti. Riprese fiato. - Adesso che intendi farmi?- Mello scosse la testa, l’ombra di un sogghigno stampata sul volto e indicò qualcosa alle sue spalle. Light si voltò e nello stesso istante il proiettile lo colpì in mezzo alla fronte; Kira ricadde all’indietro. Il suo orologio colpì una radice che sbucava dal terreno, e si ruppe. - Ehi, c’è della carta!- gridò Aizawa, raccogliendola. Alla luce delle fiamme non ancora estinte, lesse il nome di Takada e la causa della morte: si suicida dandosi fuoco. Presero un cellulare e chiamarono tutte le autorità del caso, mentre Mello e Matt si eclissavano nella boscaglia. - Alla fine hai anche vinto su Near- disse Matt con noncuranza. - Già- - Non sei contento?- - Certo- - Non si direbbe- - Cosa vuoi, un abbraccio?- -No…ehm…- Ma prima che Matt potesse finire la frase, Mello lo strinse a sé con tutta la sua forza. - Sei il mio migliore amico- - Anche tu, Mello-
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